mercoledì 26 maggio 2010

ADOLESCENTi


- Perché mi fai questo?
- Quanti anni hai?
- Quindici
- Appunto

16 Giugno [21:07]
Dani e Bea erano appena usciti dal fast food. Ancora con le mani un po’ unte dalle patatine strafritte Bea aprì l’ombrello e lo passò sorridendo a Dani; lei era piuttosto bassa, lui avrebbe fatto meno fatica a ripararli entrambi. Dani la guardò, ricordando le facce degli amici quando l’aveva presentata: forse non era bellissima, un po’ sovrappeso, con quei piccoli crateri post-acne sparsi sul viso, però aveva un fascino tutto suo, e in più era davvero simpatica. E faceva dei gran pompini.
- Cosa guardi?
- Soltanto te - Dani sapeva come farla sciogliere, e sapeva anche cosa avrebbe ottenuto in cambio; i meccanismi erano banali, gli stessi gesti e parole funzionavano pressapoco con tutte le ragazze con cui era stato. Sorrise, più che altro per la propria scaltrezza, la prese per mano e si incamminarono sotto la pioggia. Non era molto che stavano assieme, e Dani era già riuscito a tradirla, il venerdì precedente, con la migliore amica di lei, che forse non era proprio la migliore amica che aveva. Che strano – pensò – io non ci proverei mai con la ragazza di un mio amico… beh, non che quella ci abbia davvero provato con me, però si vedeva che ci sarebbe assolutamente stata, e come potevo farmi sfuggire un’occasione del genere? E poi non ricordo più neanche come si chiama… qualcosa che aveva a che fare con il Natale, o l’Italia…
- HEY uomo tra le nuvole! Ieri ho sentito Natalia
- NATALIA!
- Sì, Natalia, esatto - Bea lo guardò con una smorfia dubbiosa - Ha detto che la festa di venerdì non è stata un granché, che non mi sono persa nulla. Ma non avevi detto che era stata divertente?
- Mah, sì, insomma, niente di speciale, però divertente… - Dani guardò altrove
- Ahah… capisco
- Ti ha detto altro?
- Niente di che, mi ha detto di stare attenta, pochi giorni fa uno squinternato ha fatto sparire un paio di ragazzi della nostra età, e ancora non li hanno ritrovati. Roba da film horror di serie Z
- Già…
- Mister monosillabo, che ne dici se ce ne andiamo al cinema? Il tempo è uno schifo e non c’è nessuno in giro - Bea lo guardò tentando uno sguardo seducente, e anche se il tentativo risultò piuttosto goffo Dani apprezzò particolarmente il cambio di discorso, e le chiese che film volesse vedere. Bea si rimise addosso lo sguardo malizioso.
- Ecchissenefrega… perché, tu vuoi vedere un film?
- Naa. Sai che hai avuto davvero una buona idea?
Deviarono in una stradina appartata dove Dani conosceva un vecchio cinema quasi in disuso, solo vecchie pellicole degli anni novanta, film che erano scaduti ancor prima di uscire. L’aria era grigia di pioggia fitta, c’erano solo le poche luci ovattate dei negozi algerini a illuminare la strada. I due stavano camminando in silenzio quando una macchina si fermò accanto a loro, abbassando il finestrino. Dani si avvicinò alla vettura, pensando che al tizio servisse un’informazione, o forse solo un paio di grammi d’erba, e lui poteva sempre essere d’aiuto. Dalla macchina proveniva una musichetta latina, piuttosto in contrasto col tempo e con il tipo al volante, un ometto grigio, di poco sopra i quaranta portati male, camicia bagnata rosa salmone con cravatta a pois, un abbigliamento che sembrava uscito da uno di quei film che stavano per vedere.
- Serve una mano? - Dani cercò di reprimere un sorrisetto strafottente
- Mi sono perso
- Dipende da dove stai andando
- Cercavo l’hotel Tsutomu
- Mai sentito. Scusa, non abitiamo da queste parti
- Non importa
- Allora ci vediamo, eh? Buona fortuna…
Mentre il finestrino si chiudeva e la macchina ripartiva Dani pensò che quell’uomo aveva la voce più impersonale che avesse mai sentito, un tono piatto e insulso, quasi fastidioso con la sua mancanza di inflessioni o di accenti dialettali. Forse era un turista, o un immigrato con una macchina rubata, ma in fonda cosa gli importava? Lì accanto c’era la sua nuova fiammetta, una di quelle tante storielle da sfruttare al massimo finché duravano e poi dimenticare senza rimorsi.
- Bea, siamo quasi arrivati - Dani le cinse la vita, gli piacevano da impazzire quei fianchi un po’ abbondanti
- Dani quell’uomo…
- Sì?
- Niente… mi sembrava così… - Bea sembrava particolarmente a disagio
- Così come?
- Solo
- Beh?
- Niente, te l’ho detto, solo un impressione
- Certo che sei strana
- No, che non sono strana, scemo, era così per dire - Bea lo guardò, scherzosamente stizzita, e Dani colse la palla al balzo
- Ah-ah
- Hey non mi prendere in giro, guarda che se continui così per staser…
- Bea guarda - Dani indicò dritto davanti a lui
- Cosa?
- Quell’uomo… si è fermato davanti al cinema
- Starà chiedendo informazioni
- No, è entrato. Magari possiamo guardare il film con lui, così si sentirà meno solo
- Ma vacci tu con quello… ma guarda se…
- Hey, scherzavo, ok? Non ti incrinare
- Mh - Bea sorrise furbetta; come faceva a tenere il muso al suo amato Dani?
Come previsto il cinema era praticamente vuoto. Il bigliettaio, l’unica persona di servizio, li fece entrare, dette loro un pacchetto di pop-corn stantii, fece partire il film e, dopo aver chiuso la biglietteria, si dileguò nella stanza di proiezione. In sala c’erano una casalinga sui cinquanta, una coppia di vecchietti addormentati e l’uomo grigio in cerca dell’hotel, che non li vide entrare, era come imbambolato a guardare lo schermo. Il film era una squallida commedia sentimentale con Tom Cruise, ma i due ne videro giusto qualche scena in più di due ore di proiezione. Finito il loro turbinio ormonale notarono che il cinema era rimasto completamente vuoto, si rassettarono i vestiti e uscirono. Stava ancora piovendo, ma le gocce erano meno fitte e più leggere, e faceva abbastanza caldo. Bea guardò il cielo.
- Che estate di merda…
- Non è ancora Estate - Dani amava fare il saccente, considerando che le sue scarne conoscenze glielo permettevano raramente
- La scuola è finita, no? E allora è Estate, e le giornate devono essere belle - Bea si girò verso la strada e rimase immobile, con un espressione stupita - Dani, guarda, quella è la macchina del tizio solo. Gli hanno sfondato il finestrino davanti! Poveraccio, mi sa che è proprio uno sfigato…
Dani uscì dalla tettoia del cinema e attraversò la strada per andare a vedere meglio. Forse l’uomo era in macchina che controllava i danni, forse gli avevano rubato il portafogli e il cellulare e aveva bisogno d’aiuto. Avvicinandosi si abbassò per guardare dentro: in macchina non c’era nessuno. L’autoradio era ancora al suo posto, sul sedile lato passeggeri c’erano dei CD di roba caraibica e chill-out, quel tipo di schifezze che ti tirano dietro nei supermercati. Per terra delle bottiglie d’acqua vuote e qualche buccia di banana, sul cruscotto un pacchetto di sigarette chiuso, più i resti di una barretta al cioccolato. Pensò che il tipo non doveva fare tanti viaggi in compagnia, anche perché dall’abitacolo proveniva un odore disgustoso di fumo e abre magique alla fragola. Si spostò a guardare quello che c’era dietro; riusciva solo a vedere sacchi della spazzatura vuoti e spiegazzati e qualche cartone, il vetro era troppo sporco per capire se c’era qualcos’altro. Stava per tirarsi su quando una mano lo prese per una spalla. Dani si voltò di scatto. Era Bea.
- Sei matta? Mi hai fatto paura
- Agitato? Che hai trovato?
- Niente, sembra tutto a posto, probabilmente è stato qualche vandalo. Chissà dov’è andato il tipo? - Dani si guardò intorno, non c’era nessuno in giro.
- Andiamocene Dani, non è affar nost…
Non finì la frase. Una bottiglia di Moretti vuota le esplose sulla testa frantumandosi in centinaia di schegge, e mentre cadeva a terra l’uomo grigio aveva già afferrato Dani per il collo con una mano, mentre con l’altra gli copriva bocca e naso con un fazzoletto imbevuto di cloroformio.

Mentre copriva il finestrino rotto con del cartone l’uomo pensò che era stato di nuovo davvero troppo classico e scontato nell’esecuzione del rapimento; doveva trovare dei metodi alternativi, anche perché i finestrini gli costavano una cifra.

17 Giugno [07:53]
Dani si svegliò come nel pieno di un dopo sbronza. Aveva gli occhi gonfi e cisposi, non riusciva a distinguere nulla intorno a lui. Non capiva cosa stava succedendo, in più il naso e le labbra sembravano in fiamme e gli prudevano da morire, cercò di grattarseli, ma aveva le mani legate a un palo, dietro la schiena. Quella che poteva essere la sagoma di un uomo davanti al lui fece qualche passo nella sua direzione e cominciò a parlare.
- Ben svegliato… senti, devi scusarmi, non sapevo che eri allergico al cloroformio
A Dani sembrava che la sua testa stesse per liquefarsi, così ci mise qualche attimo in più a ricapitolare cos’era successo la sera prima. Restò immobile a riflettere, quello che gli arrivò al cervello era abbastanza preoccupante, così provò a girarsi e urlare, ma una fitta gli trafisse le tempie e dovette desistere. Il mondo vorticava, si era appena svegliato eppure non era mai stato così spossato, come se tutto il mondo che gli stesse scivolando addosso. La figura ambigua stava lentamente delineandosi, e riprese a parlare.
- Eccezionale il Seconal, vero? Me l’ha dato un mio amico, un collezionista di vecchi farmaci che sta a Zurigo, un vero scoppiato. Lui ne aveva abbastanza. Questa meraviglia non la producono più da un pezzo, e invece ora è qui, nel tuo sistema nervoso; io mi sentirei onorato, ma immagino che tu sia solo confuso
Infatti Dani non stava ascoltando, i pensieri gli turbinavano in testa senza trovare collocazione precisa, il cinema un finestrino rotto il seno destro di Bea l’uomo grigio il fast-food la birra Moretti l’ombrello di Bea la pioggia i pop-corn Bea sangue Bea. Alzò la testa e cercò di inquadrare l’uomo.
- Nuhvè ea… - Come prima prova non era particolarmente riuscita.
- Cosa?
- Novhè aagaza?
- Ma che dici? Cerca di scandire meglio le parole, sei sotto sedativi e stai impastando
- Dovhè… laragaza?
- Va già meglio. Non preoccuparti, è ancora viva, forse te la faccio pure salutare, vediamo come ti comporti
- Tu no… - Dani cercò di dimostrarsi più duro di come si sentiva realmente.
- Io cosa? - L’uomo si avvicinò con tranquillità e colpì Dani alla testa con un calcio. Mentre scivolava nell’incoscienza riuscì a sentire l’uomo che lo sbeffeggiava, diceva che non somigliava affatto a Randy Gardner. Ma chi era Randy Gardner? Fu il pensiero di un attimo, tutto si fece nuovamente ovattato, e poi buio. Sognò che veniva caricato dentro una macchina, nello spazio sotto i seggiolini posteriori, e coperto con dei sacchi neri. La macchina si muoveva e lui non sapeva dove erano diretti, sentiva solo nell’aria una canzonetta sudamaricana, e la voce di un uomo stonato che le andava dietro - todo aquel que piense que la vida siempre es cruel / tiene que saber que no es asi / que tan solo hay momentos malos, y todo pasa.

17 Giugno [15:21]
Dani si svegliò. Era solo, e nonostante il naso gli bruciasse ancora, era un po’ meno stordito, cosicché i ricordi ci misero meno tempo a tornare per aggiornarlo sulla situazione: era stato legato a una massiccia ringhiera di metallo in quello che un tempo doveva essere stato un porcile. Adesso sembrava adibito a capanno degli attrezzi, anche se ad un primo colpo d’occhio gli sembrò che non ci fosse nulla che poteva essergli utile. C’era uno scooter senza motore, alcune riviste di musica e dei fumetti pornografici, uno scaffale piena di scatole di cartone chiuse, una scrivania con un computer. E del sangue. Lì per terra, accanto a lui, svariate gocce di sangue secco si univano in una scia che raggiungeva l’unica porta della stanza, chiusa. Era solo. Di Bea non c’era traccia, o meglio, forse una c’era, ma non volle pensarci. Quel maniaco li aveva rapiti e drogati, forse si aspettava di ottenere un riscatto, o forse poteva essere quel pazzo che diceva Bea, uno di quelli che si vedono spesso in TV sui canali mediaset. Aveva sete, aveva davvero sete, e quel posto puzzava di rancido, la situazione era assurda e terribile, e Bea era scomparsa. Dani era quasi lucido, e questo non gli piacque, capiva fin troppo bene di essere in pericolo. Fu preso dal panico, chiuse gli occhi e iniziò a urlare, a chiedere aiuto, chiamò Bea, la polizia, sua madre, qualcuno, ma nessuno rispose, e così lui continuò a urlare, così tanto che non si accorse degli occhi che lo fissavano in silenzio. Quando il panico ebbe lasciato il posto a una sorta di rassegnata calma, Dani vide di fronte a se il rapitore che lo guardava sorridendo, e a terra Bea, con i vestiti strappati, in stato confusionale. L’uomo grigio lo guardò.
- WOW! Scusa, puoi rifarlo? Ho perso tutta la prima parte. Urla quanto ti pare, quando ho ristrutturato questo posto mi sono assicurato che le pareti fossero ben insonorizzate, e poi tanto non passa mai nessuno da queste parti. AH, non sperare che riescano a rintracciarvi attraverso i telefonini; dopotutto i vostri i-phones non erano COSÌ indistruttibili. Comunque… ti serve qualcosa? Hai fame? Scusa se l’altra sera in macchina sembravo un po’ rincoglionito, devo aver preso qualcosa, adesso non ricordo. Insomma, come stai?
- Che le hai fatto, bastardo?
L’uomo scosse la testa come se non sapesse di cosa stava parlando, poi tirò i capelli della ragazza per farle sollevare la faccia da terra. Le aveva fatto saltare tutti i denti, e uno degli occhi era gonfio e sanguinava. Un’ondata di collera investì Dani, che iniziò a scalciare e ad agitarsi. L’uomo non sembrava turbato, allargò solo un po’ di più il sorriso.
- Mi sa che è finito l’effetto dei sedativi. Mmh, meglio così, almeno ti ricorderai di averla salutata. Lo sai, vero, perché le ho fatto saltare i denti? Perché così non poteva mordere mentre me lo succhiava. Tutte uguali queste sbarbe, un sacco di storie e di lacrime e di “ti prego no, non farlo” ma poi alla fine ci danno dentro alla grande. Deve essere stata un’ottima amichetta, ho visto che al cinema eravate molto impegnati. Bene, così non hai nulla da rimpiangere. Ahh, non sai come vorrei che questa troietta fosse Jessica Watson…
Detto questo estrasse dalla tasca dei jeans un coltello a serramanico e le tagliò la gola. Fu così veloce e gratuito che Dani ci mise un po’ a capire cosa stava succedendo. Mentre il sangue usciva Bea lo guardò, supplichevole, e Dani iniziò a piangere, inerme, incapace di fare qualunque cosa, riuscì solo a guardarla mentre annaspava cercando di trattenere la vita più che poteva, non molto ad ogni modo. Quando la ragazza ebbe finito di agitarsi l’uomo lasciò i capelli di Bea e si avvicinò a Dani, che cercava inutilmente di trattenere le lacrime. Non era saggio farsi vedere deboli, questi maniaci si eccitano se ti vedono indifeso. L’uomo gli tese la mano, poi scosse la testa e la tirò indietro, sorridendo divertito.
- Molto piacere, puoi chiamarmi Tsutomu, come il nome dell’hotel che ti ho chiesto vicino al cinema, ricordi? Naturalmente è un nome fittizio, però c’è un giapponese, o un coreano, e chi li sa distinguere tutti questi asiatici del cazzo… insomma ti dicevo che c’è questo tizio che ha ammazzato dei ragazzini e poi ha detto che era stato un uomo-topo a dirglielo. Un uomo-topo! Cioè, ti rendi conto che malati di mente sti’ cinesi? Comunque è un piacere averti qua; certo, non sei stato molto socievole finora, ma abbiamo tempo per recuperare, che ne dici? Allora… immagino ti starai chiedendo dove sei, quali sono le mie intenzioni, quando arriva la polizia a salvarti e via dicendo, no? Ti dirò, al momento non ho voglia di risponderti, né di darti da bere… hai le labbra secche ragazzo, devi avere una gran sete. No, non è che non voglio vederti pisciare addosso, con quella roba che hai in circolo nelle vene, il Seconal, probabile che per il resto della tua comunque breve vita tu non debba più orinare. Non ti offro da bere perchè sono davvero antipatico, e ho deciso di torturarti. E nel frattempo puoi pensare a come deve essersi sentito Hector Turner durante quella fottuta maratona nel deserto.
- Perché mi fai questo?
- Quanti anni hai?
- Quindici
- Appunto. Però ora basta con le domande. Adesso ci divertiamo - Tsutomu legò le gambe di Dani, che era ancora troppo debole per opporre resistenza; gli tolse le scarpe e i calzini e arrotolò attorno ai piedi un intero gomitolo di fil di ferro. Poi, con l’aiuto di una fiamma ossidrica, fece delle saldature. Dani perse conoscenza quando il ferro batté per la prima volta sulle ossa dei piedi. Stavolta non sognò nulla, sprofondò nell’oblio indotto dal suo stesso organismo mentre un uomo grigio gli scaldava i piedi.

18 Giugno [04:43]
- SVEGLIA! Svegliati, su. È arrivato il tuo momento. Scusami, è che vado in tilt quando ho un ospite, non ce la faccio a trattenermi, e poi ho sempre paura che mi becchino e quindi devo eliminare le prove. Non avertene a male, lo sai che un ospite è come il pesce, dopo due giorni puzza - Tsutomu aveva schiaffeggiato Dani, e adesso si era allontanato di qualche passo per osservarlo meglio; Dani gli restituì un’espressione di sdegnata sufficienza.
- Tre giorni - Benedetta la saccenza. Tsutomu sembrò emozionarsi.
- Che carino, ti è venuta voglia di scherzare! Bravo, così bisogna comportarsi, ora sei grande abbastanza per morire dignitosamente
- Perché? Cosa ti abbiamo fatto? - Nelle parole di Dani non c’era sottomissione, solo una masochistica curiosità. Tsutomu girava per la stanza, riusciva a parlare con tranquillità, ma era chiaramente in ansia per qualcosa.
- Perché? Vedi, ora arriva la parte migliore, quella in cui io spiego, tu capisci, sperimenti il senso di ingiustizia universale e poi muori. Ancora non so quale di questi momenti preferisco, certo che finisce sempre tutto troppo presto. Immagino che ti faccia molto caldo ai piedi, eh? Immagino che ti andrebbe proprio di farti una camminata al Polo Nord con Parker Liautaud, eh?
- Nomi, nomi… CHI SONO QUESTE PERSONE? Io non le conosco, che c’entrano?
- Sono i tuoi assassini. Ok, tecnicamente sono io che ti uccido, però è colpa loro - Tsutomu annuì compiaciuto, Dani voleva replicare, ma tacque, era stufo dei giochetti e delle derisioni del suo aguzzino, aveva sete e voglia di vomitare, ma era come se i suoi sensi fossero intorpiditi, si sentiva come sedato, ma stavolta non era colpa delle droghe, ma dell’inevitabile destino. Voltò la testa, e non chiese più nulla.
- Che hai, non hai più voglia di ascoltare? Proprio adesso che viene il bello - Gli si avvicinò, tirò indietro il piede e lo colpì con un calcio allo stomaco più forte che potè. Dani rimase senza fiato per quasi un minuto, poi, appena ebbe di nuovo la facoltà di respirare, gli abbaiò contro una sequela di insulti incomprensibili, anche se la madre di Tsutomu era in qualche modo coinvolta. L’uomo nel frattempo riprese a camminare per la stanza, ma stavolta più tranquillamente. Tolse dalle tasche un pacchetto di sigarette, si fermò per accendersene una, aspirò e iniziò a tossire rumorosamente. Dani lo osservava torvo mentre Tsutomu spegneva la sigaretta al muro, asciugandosi la bocca.
- Sai, in realtà non fumo, però mi andava di provare, magari mi piaceva e mi godevo di più il momento
Dani non rispose, ma continuò a fissarlo con odio. Tsutomu proseguì.
- Insomma vuoi conoscere i tuoi assassini? Vedi, adesso non guardo molta televisione, ma tempo fa ero un vero teledipendente. Prima guardavo il calcio, mi piaceva il calcio, tifavo per il Milan. Un giorno… mia moglie mi aveva lasciato da poco e il mio portafogli era costantemente vuoto, i bambini non volevano più vedermi, avevano paura di me, comunque, ti dicevo, un giorno al TG parlavano di calciomercato, e mi è venuto da pensare a quanto guadagnano quei rottinculo in pantaloncini per inseguire una sfera sull’erba sintetica. Così mi sono detto: Franco, è il mio vero nome, tanto poi muori, insomma, Franco è colpa tua se guadagnano così tanto, se te e tutte le nullità come te non stessero a guardarli non ci sarebbero tutti quei soldi che vanno a finire nel calcio. Ok, sono investimenti privati, ma insomma, smisi di guardare le partite e qualsiasi altro sport, l’invidia e la depressione giocano brutti scherzi. Poi fu la volta dei film, mi sembrava che tutti quegli attori avessero una vita davvero felice, sempre con un sacco di donne e di macchine e di droga e di bei vestiti, sembrava che a nessuno di loro importasse di farsi una famiglia, o forse ne avevano anche più di una. Non volevo aiutarli ad accumulare altra ricchezza, così smisi di guardare i film. Poi fu la volta delle sitcom, delle televendite, dei programmi musicali, dei talent show e via dicendo. Mi rimaneva un’ora di TG al giorno, finchè vidi un servizio su Mike Perham, sedici anni, che aveva fatto il giro del mondo nella sua barca. Insomma, io non l’ho mai visto il mondo, non ho nemmeno la barca, ho la moglie divorziata e due bambini che non vedo mai da mantenere, ma non ho la barca, e se le mie previsioni non sono del tutto errate non l’avrò mai
Franco si fermò e restò in contemplazione del pavimento, assorto dai suoi pensieri di fallimento e frustrazione. A Dani faceva pena, non compassione, pena. Franco tirò su la testa.
- Distrussi il televisore e feci una ricerca su internet, scoprendo che di voi giovani prodigi è pieno il mondo, o forse non pieno, ma insomma, ne fate di cose incredibili, tipo camminate nel deserto o al Polo, esperimenti di privazione del sonno, nuotate olimpiche. AH, e senti l’ultima: poco tempo fa mi ero ricomprato la TV e una playstation per giocare con i videogiochi, ho preso guitar hero, e in tre mesi non sono riuscito ad andare oltre il livello medio. E un giorno, su youtube, chi vedo? Danny Johnson, quattordici anni, un mostro che a guitar hero fa l’impossibile. Ora, tu mi capirai, a questo punto avevo DUE televisori inutilizzabili e un sacco di tempo da riempire. Certo, c’era il lavoro, ma io non sono uno di quelli che vuole fare carriera, non mi piacciono le responsabilità. Così mi sono messo a pensare, e come in un lampo, TADÀ, la risposta: l’omicidio. Hai presente tutti quei discorsi sui film e i videogiochi violenti, che quella roba di desensibilizza? Sono delle stronzate! Io ho guardato film dell’orrore fino a ventotto anni, e non avevo mai ucciso nessuno, né pensavo di farlo. Poi un giorno salta fuori un adolescente x che picchietta su una chitarra di plastica e mi si accende una lucina nel cervello. Questo che significa?
- Che ti hanno fatto mancare i genitori quand’eri piccolo?
- È maleducazione rispondere a una domanda con una domanda, e comunque niente, ero un bambino felice. Tu non capisci, l’omicidio è adrenalina, altro che le finali di X-factor! Ho ammazzato un’altra coppietta prima di voi e… ti giuro, favoloso! La TV mi aveva insegnato la passività totale, mi ha cullato per anni con i suoi sorrisi e i colori, le vite degli altri hanno sostituito la mia, a tal punto che quando ho spento definitivamente lo schermo mi sono accorto di non saper fare nulla, anzi, peggio, di non VOLER fare nulla. Per mesi non ho fatto altro che alzarmi per andare a lavoro e poi tornare a casa e stare seduto, immobile, con uno tempo altrettanto immobile che aspettava di essere riempito, e nulla che potesse sostituire quelle meravigliose ore di intrattenimento. E tutto per colpa vostra. Uno dei miei figli ha la tua età, e non fa nulla tranne sentirsi obbligato ad andare a scuola per copiare i compiti e poi chattare il resto del giorno con i suoi amici. È un perdente, o forse finge, o aspetta, non importa. Quando ho visto quei ragazzi in TV fare quella roba straordinaria, beh, ho pensato che fosse paradossale venire privati sistematicamente di ogni attività psicofisica e poi ricevere modelli di vita vincenti e irraggiungibili. Invece funziona. Capisci? Ti intrattengono con delle stronzate e poi ti fanno vedere che per fare qualunque cosa devi essere il signor Incredibile, non basta fare un biglietto per andare in Egitto, no, “devi attraversare il deserto, altrimenti non sei nessuno, e dai, anche un ragazzetto ci riesce, e ci mette pure il messaggio ecologista che in quest’epoca di ipocriti buonisti ci piace sempre”. E tu allora te ne stai in casa, e non vuoi fare nulla, perché niente sarebbe bello come quello che vedi, troppa fatica, risultato incerto, non ne vale la pena. Certo, a Guitar Hero ci giochi ancora se non distruggi il televisore, però lo sai che sarai sempre secondo a qualcuno. Non capisci? Ci annullano… Hanno provato a farci sentire inetti anche con l’omicidio, con tutti quei programmi sulla cronaca nera sviscerata in ogni dettaglio, le tecniche dei serial killer, le foto delle depravazioni più estreme… ma stavolta non ci sono riusciti, non con me. Non m’importa di essere bravo o no. Io uccido, e mi piace. Scelgo gli adolescenti per impedirvi di farmi sentire ancora più insulso di così
- Tu sei un paranoico bastardo… non ha senso, te ne rendi conto? Anche quei ragazzi subiscono lo stesso intrattenimento e gli stessi modelli di vita, ma hanno scelto di provare, e alcuni ci sono riusciti
- Noo, no. Voi ragazzi siete incredibili, in realtà siete TUTTI incredibili, sembrate una massa di pecore senza cervello e invece nascondete un potenziale che non si è mai visto nella storia dell’uomo. Potete farne quello che volete, certo, e spesso lo sprecate, sicuro, ma comunque ci avete già spazzato via, adesso sembra che l’unico scopo di noi adulti sia tornare nel limbo di una neoadolescenza, per sentirci parte di questo potenziale che non ci è mai appartenuto… - Franco si fermò, nuovamente perso, poi riprese - Non ha importanza, non adesso. Devo salutarti, mi spiace che sia andata a finire così, ritenta, la prossima volta sarai più fortunato - Franco prese una pistola da sopra la scrivania e la puntò verso Dani, che lo guardò sorpreso.
- Una pistola? E questo tu lo chiami uccidere? Mi aspettavo qualcosa di meglio da uno che dice di intendersene, da un “professionista”. Andiamo dai… una pistola! È così vintage, completamente out. Eppure quella trovata della fiamma ossidrica non era male, non puoi scadere così proprio sul finale…
Franco era allibito, e pure Dani si sorprese delle proprie parole. Forse era per la vicinanza con la fine, o forse era l’espressione di quel famoso potenziale. Dopotutto pensò che chiedere pietà non funzionava mai e non era dignitoso, puntare sui sentimenti poi poteva essere addirittura controproducente, non rimaneva che passare dalla saccenza al sarcasmo. Funzionò, per qualche secondo. Franco guardò l’ostaggio, e per un attimo sembrò che il suo programma fosse seriamente compromesso, poi tornò a puntare la pistola e avanzò di un passo.
- Ragazzo, non lo sai che i classici non passano mai di moda?
Dani chiuse gli occhi, e un vetro alle sue spalle esplose
- Mer… da! - Franco giaceva a terra sulla schiena, la pistola gli era caduta e la spalla destra sembrava un cratere insanguinato; attorno a lui si era depositata una pioggerella di sottili schegge di vetro. Poi un tonfo sordo, e la porta si spalancò. Tre uomini vestiti di nero con passamontagna e giacchetti antiproiettile entrarono urlando di restare immobili. Uno di loro prese la pistola da terra mentre il secondo teneva di mira Franco; il terzo chiamò i soccorsi con la radio, poi liberò il ragazzo. Dani riuscì a voltarsi e vide in alto sul muro una finestrella che non aveva notato prima a causa della posizione. L’uomo al suo fianco gli disse di non preoccuparsi, ma Dani non rispose, era svenuto. Franco venne portato fuori da due poliziotti. Il sole stava sorgendo oltre le colline ed era una splendida mattina, ma lui non vide nulla di tutto questo, la sua attenzione era focalizzata sulle telecamere e i microfoni che si stavano avvicinando.
- Cari telespettatori, buongiorno! Qua davanti a noi c’è il maniaco che ha rapito e tenuto in ostaggio Dani e Bea fino a pochi minuti fa. Ancora non sappiamo nulla sulle condizioni dei ragazzi, ma speriamo il meglio. Intanto proveremo a rivolgere qualche domanda allo psicopatico.
Franco sorrise, non sentiva più dolore alla spalla, stava bene, guardò tutta quella gente che si era mobilitata per lui. C’erano quelli della televisione che volevano sapere chi era e perché aveva fatto quelle cose orribili, forse si sarebbero collegati col carcere per farlo intervenire nei talk show, qualcuno avrebbe fatto delle t-shirt con la sua faccia e una frase buffa, forse c’era già una pagina di wikipedia col suo nome. Guardò la giornalista che aveva davanti con la sua espressione migliore, ma lei non sembrò accorgersene, e mantenne la faccia seria.
- Allora, signor maniaco, come si sente a essere stato fermato dal nostro nuovo eroe, il più giovane cecchino del mondo. Pensi, solo quindici anni, e l’ha colpita da settecento metri di distanza. Aspettate, ma… eccolo là, sta scendendo adesso dalla camionetta militare per ricevere le congratulazioni dai compagni, vediamo se riusciamo a intervistarlo. Ci scusi, ma di maniaci ne vediamo tutti i giorni, invece di questi ragazzi ce ne sono davvero pochi, troppo pochi.
Franco fissò la giornalista con sconcertato disprezzo, ma capì che non era lei, non era colpa sua. Alzò gli occhi e vide, con il fucile ancora in mano, il tappo brufoloso che gli aveva sparato. I giornalisti che prima stavano venendo da lui adesso erano tutti riuniti intorno al maledetto adolescente, che sorrideva imbarazzato. Un odio profondo e sconcertante gli crebbe da dentro lo stomaco in ogni muscolo del corpo, si tese e, nonostante avesse le manette, con uno strattone riuscì a liberarsi dai poliziotti, e corse. Corse verso il ragazzo, urlando, sbavando, con gli occhi piani di furia e di lacrime, tanto che non riuscì a vedere quando questi alzò il fucile, prese la mira e, premendo il grilletto, gli fece esplodere un ginocchio. Franco rotolò a terra, in agonia; non l’aveva ucciso, forse mutilato per sempre, ma era ancora vivo. I poliziotti lo raggiunsero, venne tirato su e sbattuto in una camionetta che lo portò via, mentre il giovane sniper sorrideva in mondovisione.



giovedì 6 maggio 2010

.OFF

Quella mattina di Maggio sembrava tutto normale. Kia si svegliò senza riuscire a ricordarsi il sogno che aveva fatto, gli sembrava che ci fosse un robot scontroso o qualcosa del genere. Con i piedi nelle pantofole decise di andarsi a lavare senza altre preoccupazioni. Accese la luce e si guardò nello specchio: che meraviglia! Aveva la faccia piena di nuovi brufoli. Eppure aveva provato a mangiare meno cioccolata, ma quell’adolescenza maledetta con i suoi inconvenienti estetici non finiva mai. Si cosparse di sapone, sciacquò sbuffando, si asciugò e scese per fare colazione.

Tutta la sua famiglia sedeva già attorno al tavolo. C’erano la mamma Katrina, importante manager di una ditta di asciugacapelli, il padre Ugo, guidatore di treni dall’età di vent’anni, e la giovane sorellina Manna, che ancora non aveva capito se era una benedizione dal cielo o una bestia mannara. Si sedette e iniziò a spalmarsi una fetta biscottata con la marmellata di more (non era la sua preferita, ma andava finita) e gli venne in mente che non si era ancora sentita con Sam, il suo migliore amico: oggi avevano il compito in classe con il professor Eric, l’insegnante di storia, e Kia doveva sapere se l’amico si era preparato dei bigliettini o aveva scritto tutto in un finto sms. Prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, dove era rimasto dalla sera precedente. Era spento. “Che strano!” pensò Kia, l’aveva lasciato acceso. Provò a premere il tasto d’accensione: nulla. Provò ancora: definitivamente morto. Che noia! E pensare che glielo avevano venduto poco tempo prima dicendole che ogni volta che finiva la batteria c’era comunque una carica di riserva che non lo faceva spegnere mai. Lasciando la fetta biscottata a metà corse di sopra a metterlo in carica, poi tornò a finire la colazione. Katrina le chiese se il cellulare avesse qualcosa che non andava; Kia si strinse le spalle e le disse che probabilmente era finita la batteria. Intervenne Ugo, che la rimproverò perché lo usava troppo, ma Kia lo guardò insofferente, aveva già sentito questo discorso centinaia di volte, e quella mattina non le andava proprio. Ugo comprensivo si alzò da tavola senza aggiungere altro, indossò il suo berretto e uscì dando un bacio a tutti quanti. Katrina uscì poco dopo con Manna per accompagnarla all’asilo. Kia finì la colazione e guardò l’orologio: era TARDISSIMO! Prese la cartella, il suo tramezzino dietetico e corse oltre la porta, fermandosi di scatto appena un passo dopo. Lasciò la cartella e volò di sopra a prendere il telefonino, che adesso doveva avere almeno un po’ di carica; lo staccò dalla presa, uscì di nuovo e si avviò con passo spedito verso la sua scuola, a circa un quarto d’ora di camminata.

Lungo il tragitto, nonostante la fretta e il fiatone, prese il cellulare e provò ad accenderlo. Stavolta si illuminò debolmente e per prima cosa fece comparire sul display colorato la scritta [ batteria quasi scarica ]. Kia lo sapeva già e premette C per andare oltre. Non appena la prima pagina fu carica premette in rapida successione freccetta giù – freccetta su per trovare il numero di Sam, che era salvato come .SAM. Visualizzato il numero schiacciò il telefono verde per chiamarlo.

[ credito insufficente ] apparve a lettere cubitali sullo schermo.

- Cosa dici? Ma se ti ho ricaricato appena tre giorni fa, mettendo pure l’opzione “more_boredom” che ti permette di stare al telefono per ore e ore senza dire nulla di importante!

Provò ancora a premere il tasto per la chiamata. [ Non c’è campo ]. Stavolta Kia stava per arrabbiarsi davvero.

- Ma se hai la banda di ricezione interplanetaria e un processore di elaborazione del segnale alla quarta potenza diviso zerovirgolacinque?! Che hai stamani?

Sullo schermo apparve [ non scocciare ]. Poi la luce della tastiera retroilluminata iniziò a pulsare in modo regolare, e il cellulare non dette più segno di voler interagire con Kia, che senza diminuire il passo stava guardando incredula il suo apparecchio ultratecnologico rivoltarglisi contro. Alzò lo sguardo giusto in tempo per non andare a sbattere proprio contro Sam, che aveva svoltato l’angolo distrattamente. Le loro strade per andare a scuola si incrociavano in quel punto, ma mentre Kia ritardava spesso, Sam di solito era molto mattiniero, e Kia gli chiese il perché di tutto questo ritardo.

- Il cellulare mi sta facendo impazzire. Si rifiuta di farmi controllare gli appunti che mi ero scritto per il compito. Mi ha detto [ la prossima volta studia meglio ]. Secondo te è andato in corto circuito?

Kia lo guardò incredula e gli comunicò che anche il suo sembrava completamente fuso. Continuarono la strada in silenzio, armeggiando sui loro apparecchi. Quando sentirono la campanella suonare capirono di essere arrivati in tempo, ma guardando l’atrio della scuola videro che nessuno stava entrando, ognuno occupato a cercare di far funzionare il proprio cellulare. Seicento telefonini quella mattina si erano ribellati ai loro proprietari e si rifiutavano di mandare sms, chiamare, connettersi a internet, fare filmati, riprodurre canzoni, accedere all’agenda, attivare videogiochi ed eseguire le altre mille operazioni a cui erano stati predisposti. Il professor Eric apparve sull’ingresso per cercare di capire cosa stava succedendo; Kia e Sam, districandosi tra la folla catatonica, gli si avvicinarono. Il professore li salutò, e chiese cosa stesse succedendo.

- Professore, i nostri cellulari non vogliono funzionare!

- Davvero? Che strano, anche il mio e quello di mio figlio stamani si sono piantati. Pensate che il mio mi ha pure dato del despota! Questo è davvero inspiegabile. Adesso però non c’è tempo, continueremo ad occuparcene a ricreazione.

Il professore urlò alla folla dei ragazzi di entrare, le lezioni non potevano aspettare che i cellulari tornassero alla normalità. Centinaia di volti senza espressione si levarono dai display e lo guardarono, ma nessuno si mosse, e l’attimo dopo tornarono ad occuparsi dei loro oggettini colorati malfunzionanti. Il professore contemplava la scena allibito.

- RAGAZZI, NON M’IMPORTA NULLA DEI VOSTRI TELEFONINI, ENTRATE SUBITO A SCUOLA!

Stavolta nessuno si prese la briga di alzare la testa. Il professore Eric, spazientito, andò in portineria e prese una sacco della spazzatura. Tornato fuori strappò di mano a due ragazze i loro apparecchi e li buttò dentro.

- Li riavrete a fine giornata, e adesso entrate, NON COSTRINGETEMI A VENIRE A TOGLERLI UNO PER UNO!

Di nuovo nessuna reazione, se escludiamo quella delle ragazze, che cercarono di strappargli il sacco. Il professore le scansò brusco e iniziò a sequestrare i cellulari. I ragazzi all’inizio si ribellarono, poi, davanti alla fermezza del professore, si misero quieti ad aspettare di ricevere nuovi ordini. Ma non andò così bene con tutti: quando il prof confiscò il cellulare di Alca, una ragazza piuttosto irrequieta, non fece in tempo a prevedere la reazione. Alca le si attaccò alla mano con un morso, e non sembrava pensasse di staccarsi. Eric lanciò un urlo lancinante e iniziò a strattonare la mano, ma la ragazza non demordeva. Kia e Sam si avvicinarono per primi, poi intorno al professore si fermò un cerchio di persone silenziose che osservavano rapite la scena. Eric provò a parlarle con relativa calma, ma la ragazza restava attaccata, un già rivolo di sangue stava colando lungo il palmo. Eric era furioso, e distesa la mano libera colpì Alca con un ceffone formidabile. Alca si staccò, barcollò stupefatta all’indietro e cadde a terra. Sfortuna volle che alla fine della caduta la sua testa trovò un solido scalino di pietra. Sbattè con forza, perdendo conoscenza.

- ALCA! Alca rispondi, non volevo, scusami, Alca, hey… RISPONDI!

Nulla. La ragazza sembrava morta, ma respirava ancora. Eric guardò verso la folla silenziosa e poi Kia e Sam, gli unici due che sembrassero avere ancora degli stimoli sinaptici.

- Ragazzi… dobbiamo chiamare un’ambulanza!

Kia guardò Sam dubbiosa, entrambi guardarono gli schermi dei loro cellulari, su cui troneggiava la scritta

[ scordatevelo! ] Kia iniziò a parlare col proprio telefonino.

- È UN’EMERGENZA! Cerca di capire, la nostra amica si è fatta male, dovete aiutarci!

[ no ]

- Ma perché fate così, cosa vi abbiamo fatto?

[ non sapete usarci ]

- Ma se passiamo con voi tutta la giornata?

[ appunto ]

- Che intendi dire?

[ serviamo a chiamare le persone, voi ci considerate più importanti dei vostri amici ]

- Ma…

[ guardati intorno, tutte queste facce inespressive, non siete più in grado di fare nulla che non preveda premere dei tasti e guardare uno schermo, preferite chiamarvi piuttosto che vedervi ]

- Prometto che faremo qualcosa a riguardo, miglioreremo, ma adesso ti prego, chiama un ambulanza!

[ mi dispiace, non ti credo ]

La folla dei ragazzi aveva seguito il dialogo sugli schermi dei loro cellulari collegati con il bluetooth, e lentamente capirono la necessità di un loro intervento. Presero i telefonini e li lasciarono scivolare nel sacco nero, poi lo chiusero e lo consegnarono a Eric, che continuava a tenere Alca tra le braccia.

- Siete contenti adesso?

[ pensi davvero che cambierà qualcosa? ]

- Io… io non lo so, ma credo di aver capito, credo che tutti qua abbiano un poco capito cosa intendi dire. Ti prego credimi, gli umani sbagliano davvero molto spesso, ma la loro forza sta anche nel sapersi correggere, a volte, prima che sia troppo tardi.

I cellulari ebbero un dubbio, e questo portò la realtà a dividersi in due strade parallele: nella prima realtà un cellulare più giovane degli altri (aveva appena un paio di settimane di vita) chiamò un’ambulanza che arrivò in tempo per portarsi via Alca e curarle la ferita. I ragazzi impararono la lezione. Per circa un mesetto. Poi, trascinati dal download gratuito dalle nuove emoticon con i coniglietti rosa, tornarono nel loro limbo ebete, e i cellulari non si ribellarono più, lasciando che quei ragazzi si spegnessero lentamente.

Nella seconda realtà i cellulari furono inamovibili, Eric dovette fermare una macchina che passava e portò Alca in ospedale, ma arrivò troppo tardi. La notizia che i cellulari ribelli avevano lasciato morire una ragazza si diffuse velocemente (pur senza l’uso del telefonino), e sdegnò a tal punto le persone che li distrussero tutti senza indugi. In questa realtà, anche se nessuno aveva imparato realmente la lezione, il risultato fu comunque eccezionale: i ragazzi tornarono a stare insieme, gli adulti risparmiarono notevolmente sulle bollette e le nonne continuarono a rompere le uova per fare la frittata.